Roberto Ungaro - L'incontro

ungaro

Oggetto: Bingo. Nessun testo. Mittente: Roberto Ungaro. Fu questa una delle emozioni più grandi vissute davanti allo schermo di un pc. Era qualche anno fa, quando ricevetti la risposta via mail di Roberto alla mia provocazione cartacea (un Riders fatto da me), avevo destato la sua attenzione, Bingo appunto. Ho sempre amato le moto e scrivere di passioni, persone e di emozioni, che considero il moto della vita.

Le riviste di settore le ho sempre considerate come uno strumento di informazione, la cronaca di quanto già visto in tv, un elenco di dati e numeri senza anima, fin quando non è arrivato nelle edicole Riders. Fu una forma di ammirazione unita alla mia piccola ambizione che mi portarono a fare un fascicolo di una decina di articoli corredati da foto e recapitarlo presso la sede di Riders all’attenzione del direttore. In prima pagina del mio RiderPoz riportai la mia mail e dopo pochi giorni dalla consegna ecco quel bingo.

Il desiderio di allora di “entrare” nella sede di Riders, incontrare i collaboratori, la redazione ma soprattutto l’ideatore, la mente e l’anima si è ora realizzato. Non entro nel merito di quali furono gli sviluppi a quella mail e del perché quel sogno rimase chiuso nel cassetto, questa è un’altra storia: forse i sogni sono destinati a restare tali. Però, oggi, sono qui che lo intervisto. Oggi si parla di Roberto Ungaro e del mio incontro avvenuto alla sede di  Riders.

Con MotoEmozione vogliamo dar voce a personaggi e alle loro storie perchè siamo convinti che da queste si possano trarre lezioni ed insegnamenti. Ungaro ha molto da insegnare, non solo dal punto di vista tecnico, ma su quello che considero l’approccio alla  vita. Quell'approccio che ogni mese vuole rendere concreto con la sua creatura. Riders è  Ungaro o meglio la parte Riders di Riders è Roberto Ungaro, nel suo modo di essere, nel suo stile, nel suo vissuto, nella sua passione.

Per un pilota che ha corso dei mondiali la competizione è tutto, se poi questa si unisce al mix "poca aderenza" e quindi essere sempre di traverso -tipico dell’enduro-, il mix è esplosivo. “Per quindici anni ho vissuto al di là della barricata, correvo, e poi mi sono ritrovato di qui, a raccontare quelli che corrono, cioè fare il giornalista. Ma il concetto è sempre lo stesso: la competizione. Che tu sia in una gara, e di qualsiasi livello, o nella vita, è sempre un fatto di competizione. L’enduro poi, che non ha uno scontro diretto con l'avversario, è meraviglioso perché ti porta a misurarti con te stesso. Il regolamento stesso ti toglie punti di penalità al controllo orario se hai ritardato perché hai assistito un avversario infortunato. Non è meraviglioso? Quello che impari nell'enduro te lo porti dietro per sempre. Se non hai spinto in mulattiera, nella vita è un casino”.

Il passaggio a giornalista arriva per caso: “fu Cereghini, a una presentazione dei programmi sportivi di Aprilia, che mi chiese di fargli da controfigura per una prova di Grand Prix su Italia Uno“ . Allora faceva il rappresentante di gioielli perché con quel tipo di ruote tassellate, anche se sei pilota da mondiale, non si campa “nell’enduro non c’è gloria e non c'è fama c’è solo sudore”. Dopo il primo test con Nico accettò il consiglio di proporsi a Motociclismo come tester e già alla prima presentazione in Sardegna, con una Yamaha TT600, arrivò subito la copertina, neanche a dirlo la foto di un traverso. Da lì a poco ci fu la proposta di un lavoro a tempo pieno “ci pensai anche.. allora guadagnavo bene, gestivo il mio tempo e questo mi  consentiva di allenarmi, il pensiero di venire tutti i giorni in ufficio, non timbrare ma quasi... mi faceva dubitare di questa scelta. Poi le persone a me care mi fecero comprendere che  quella era la scelta giusta e così la mia passione divenne il mio lavoro”. Diventa un tester di livello nazionale “anche se dopo 15 anni, provare moto ti dà assuefazione e le emozioni vere vengono solo quando provi una moto da competizione, che sia una 500 2 tempi o una moto del mondiale enduro, perché quando qualcosa è preparato per vincere l’emozione è presente a tutti i livelli, tutto va in un'unica direzione: la massima prestazione. Così il motore fa paura, le sospensioni sono dure, i freni aggressivi, l'ergonomia ti violenta. Una moto da  competizione, di qualsiasi disciplina essa sia, è lo stato dell'arte dell'emozione”.

Nel 2003 suggerisce alla sua casa editrice, Edisport, di realizzare una rivista a tema che tratti di fuoristrada, perché allora c'era solo Motocross: “volevo chiamarlo semplicemente Fuori, come dicono i giovani oggi, ma fu giudicato "troppo" e quindi venne aggiunta in piccolo la dicitura “strada”. L'idea è sua, ma non ottiene subito la direzione, perché in Italia se sei giovane non hai credibilità, però inizia a sperimentare. “Misi molto life style, iniziai a fare un giornale come piaceva a me, chiaramente coi paletti che una casa editrice ti mette”. Nel 2006 Egidio Mauri, un publisher di Hachette - la persona responsabile dei progetti -, ha l’idea di fare un giornale nuovo che parli di moto in maniera innovativa. Fa un prototipo e lo manda in indagine di mercato: ”dissero che il progetto era valido, la rivista bella ma finta per quello che era il mondo della moto. Era il lato debole, si vedeva che non c’era un’anima. Così si misero alla ricerca di un direttore che provenisse dal mondo moto. Un amico, Michele Lupi, suggerii il mio nome. Incontrai Mauri e mi presentai con La copertina di FUORIstrada di quel mese: una moto da Cross vista da dietro che schizzava fango, in bianco e nero, senza che si capisse che modello era. Probabilmente venni giudicato un pazzo, ma su quella pazzia Mauri scommise e mi scelse per fare Riders". A Settembre 2007 Riders andò in edicola. ”Alcuni dissero che non avremmo mangiato il panettone”. Sono passati cinque anni e Riders è una realtà consolidata.

A sentirlo parlare di Riders sembra che stia parlando di se stesso, non è semplice promozione del prodotto, è palpabile la passione quando parla del giornale “E’ la parte creativa quella che preferisco e il fatto che in Riders c’è e si respira passione. Perchè è la passione che ha permesso di sopravvivere allo tzunami di questi anni che ha  nvestito le riviste generaliste". Gli riporto alcune critiche avanzate alla rivista "è quasi banale rispondere: a quelli che contestano la troppa pubblicità dico che è grazie a quelle inserzioni che posso fare un giornale il cui costo di realizzazione è 10-15 volte superiore agli altri giornali di moto e posso proporlo a quel prezzo così basso”. Sul perchè da qualche numero è stato sostituita la parola “moto” sotto il nome della rivista con la parola "stile" la risposta è pronta: “quando siamo nati, partendo da zero, doveva spiegare cosa c’era dentro. Ora, dopo 5 anni, la gente sa cos’è Riders. E quindi passa il concetto che Riders è uno stile di vita. L’approccio alla vita che ha il motociclista: pratico, che vuole emozioni e vivere senza filtri. Con Riders c’è un patto con il lettore: gli do della benzina alla sua sete di sapore, alla sua passione”. Ancora la parola passione, ed è forse la passione di Ungaro e dei suoi  collaboratori che ha permesso a Riders di avere un seguito di fan pronti a correre ad ogni evento organizzato dalla rivista, una tribù che si rispecchia in quello stile, alla ricerca di  qualcosa di diverso, che li faccia distinguere. Quarantenni alla ricerca di storie, di personaggi “ci si aggiorna sul web, i dati tecnici su una moto si prendono da lì, su Riders voglio storie,  voglio passione, voglio sapere….è per questo che, finita la stagione SBK, vado in Inghilterra per conoscere il pilota che per mezzo punto ha perso il mondiale, cioè Tom Sykes” Perché sulle riviste specializzate italiane non c'è una riga su di lui? Una tribù fatta anche da molti ragazzi under 20, che acquistano la rivista attratti dal poco costo, dalle immagini di grande impatto, dalle storie ma anche da quel lato stylist della rivista “perché ai giovani piace essere educati allo stile. Lo stile lo si acquisisce col tempo, con l’esperienza, con il vissuto e ahimè coi soldi, anche se non sono fondamentali perché si può sognare anche con pochi soldi”. Per i giovani sei lento o sei Rock, sei ordinario o sei Riders.

Si parla di educare, insegnare e allora voglio chiedere quanto può aver influito sulla sua formazione incontrare alcune delle icone del motociclismo “Talamo era un appassionato pazzesco. Andai a girare in fuoristrada con lui e si presentò senza guanti e con occhiali da sole, senza maschera: non era una dimenticanza, lui girava così. Era eccentrico, ma era affamato di belle cose, di emozioni, di stili. Aveva quello che oggi vedo poco tra i giovani: fame, di vivere di passioni". Parlando di Tamburini crea un silenzio di alcuni secondi e con un cambio anche della tonalità: si percepisce rispetto, stima.  Poi parla di Castiglioni. "Claudio era la gioia di vivere in persona, con un capacità unica di emozionarsi di fronte a una moto. E’ questa la cosa basilare per arrivare a un risultato, che poi sia un campionato, un disegno, un progetto o un bel giornale. Passione. Ho conosciuto tanti personaggi e piloti importanti”. Già, i piloti, gli chiedo quali cambiamenti ha visto in questi anni “è tutto cambiato, il modo di fare le corse, l’ambiente, ora è tutto esasperato. Oggi è tutto più politico, più apparire. Dal punto di vista dei valori è peggiorato enormemente, chiunque ha il manager, l’ufficio stampa, chiunque è filtrato. Almeno con twitter questo sistema è stato un pò  scardinato e ha permesso di mettere a nudo il vero valore di alcune persone”.  E’ parlando di questi personaggi che l’Ungaro direttore ha lasciato posto all’Ungaro uomo, all’interno del suo ufficio seduto dietro una comunissima scrivania, senza nessun accessorio autocelebrativo sulle pareti con solo un casco appoggiato su una mensola. Un uomo consapevole del suo vissuto e della propria maturazione e di come questa porti a vedere le cose in maniera diversa “da giovane magari le Harley ti sembrano del metallo inutile e pesante, poi si trasformano in qualcosa che ha un senso, con un loro perché, ed apprezzi anche  le Harley. Prima o poi ci arrivi, è solo questione di tempo, è un processo di maturazione”. Uno stato che lo porta a cercare emozioni nuove, non riviverne altre perché “ho avuto la fortuna di viverne di bellissime”, come quella alla sei giorni in Germania ad esempio" sapere di essere andato veramente forte e ricevere i complimenti da tutto il team”. Lo stesso tipo di emozioni che comunque ha ritrovato alla guida di Riders “se sei stato pilota quel brivido non te lo toglie nessuno, puoi però riprovarlo in altre forme, può essere un bell’editoriale, un bel titolo o interpretare un concetto”. Emozioni legate al campo professionale, anche se quella che gli manca da vivere dice con un cambio di voce è quella di un figlio.

Sono queste ultime frasi che hanno fatto emergere l’uomo Ungaro che mi hanno ancor più fatto comprendere perchè Riders è Riders ma anche un episodio: quando si è alzato ed ha preso da un armadio il mio RiderPoz, salvato da un trasloco e portato nella nuova sede: "ho dovuto buttare via un sacco di cose nel trasloco, ho portato qui solo le cose importanti, significative". Mentre uscivo dall ’ edificio ho ripensato all’ennesima emozione che mi ha dato questo uomo nell’aver conservato quell’abbozzata rivista artigianale e al suo casco. Quel casco da cross bianco, quasi a dire che non sono i colori, gli sponsor, le effigi o gli allori vinti, a darti la forza per competere nella vita, alla fine la parte vera è solo lì dentro quel casco. Tu e solo la tua passione. 

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