Intervista a Marco Lucchinelli

 lucky

Marco Lucchinelli, il "Lucky" è un personaggio unico del nostro mondo. Primo italiano a vincere un Mondiale della classe regina dopo Agostini e in grado di entrare nel cuore di tutti gli appassionati oltre che per le capacità di guida anche per il suo modo di porsi e di essere."LUCKY" persona vera, non costruita, dotato di un talento smisurato, con tutti i suoi pregi e le sue debolezze mai nascoste. Vincitore di un Mondiale classe 500 cc nel 1981 battendo gente del calibro di Roberts, Sheene, Mamola tanto per fare qualche nome. Una carriera vissuta alla grande dentro e fuori i circuiti. Oggi abbiamo il grandissimo piacere di ripercorrere alcuni episodi della sua carriera e fargli qualche domanda di attualità.

Caro Lucky, ripercorrendo la tua carriera e su come hai iniziato a correre, di nascosto dai tuoi genitori, viene spontaneo un paragone con i piloti di oggi dove spesso sono i genitori che mettono in moto i figli. Che valutazione dai a questo nuovo modo di approcciarsi alle corse?  Sono due mondi e due epoche completamente diverse, penso che la passione alla base sia la stessa, però per noi era diverso. Ai piloti della mia epoca la passione veniva da dentro, allora non c’erano televisioni o giornali  che ti invogliavano a diventare pilota. Ai miei tempi coi motorini ci andavi per passione non per qualcos'altro, noi avremmo usato la moto anche se non ci pagavano, solo per  il piacere di andare in moto. Oggi al mondiale ci arrivano alcuni piloti spinti più dai loro parenti o amici più che da una passione interiore. Ricordiamo poi che quando correvo io, prima di arrivare al mondiale c’era tutta una trafila da seguire: dovevi dimostrare di andar forte perchè senza risultati non ti davano l’autorizzazione a gareggiare in determinati campionati.

Mentre ora basta esser figlio di, oppure avere buone doti commerciali e portare sponsor ed hai una sella assicurata.   Oggi coi soldi fai quello che vuoi. Ai miei tempi i genitori ti invogliavano a fare il calcio, adesso c’è il motociclismo che tutto sommato, rispetto ai miei tempi in cui c’era un tasso di mortalità altissimo, è diventato abbastanza sicuro.  Katoh, Tomizawa e il Sic sono lutti avvenuti nell’arco di dieci anni, ai miei tempi erano morti che avvenivano nell'arco di una stagione.  Oggi il motociclismo con tutti i progressi che ci sono stati sia di abbigliamento ma soprattutto di piste è sicuro, anche se di sicuro non c’è niente, guarda quanti muratori cadono dalle impalcature e prendono mille euro al mese. Le tragedie succedono per singoli episodi e in tutti i settori. E questa sicurezza invoglia molti a cercare di far diventare il figlio un nuovo Valentino Rossi.

Ripercorrendo la tua carriera un nome è sempre associato a un grande del nostro sport nome: Gallina. Qual è stato il tuo rapporto con lui? Splendido.  All'inizio della mia carriera era il pilota che abitava vicino a me ed era un punto di riferimento, cercavo di imitarlo e lo aspettavo per strada per dimostrargli come andavo. Poi è diventato il mio team manager, meccanico, capomeccanico e grande amico.  Uno splendido rapporto.

Le voci dell’epoca che hanno etichettato il tuo passaggio alla Honda come un tradimento?  Io sono andato via dalla Suzuki perché non dava le garanzia che secondo me andavo date ad un campione del mondo, leggasi un contratto biennale. Poi dire di no alla Honda era impossibile, rientrava alle corse dopo 10 anni con la scommessa di una moto a tre cilindri.  Una proposta impossibile da rifiutare. A Gallina ho chiesto di venire con me è stato impossibilitato per il contratto in essere con la casa giapponese.

L’altro nome è Castiglioni.  Quando si parla di Motociclismo dal ’77 in avanti si parla di loro. Dei Castiglioni ritengo che bisognerebbe parlarne con rispetto, perché queste persone facevano minuterie metalliche, che non c’entravano nulla con le moto ed hanno creato qualcosa di incredibile.  Sono le persone che oltre ad aver data fiducia a me, Ferrari, Bonera, aver portato Lawson, Kocinski,  hanno fatto rivivere Ducati, Morini, Husqvarna e  MV. Personaggi unici. Oggi mancano queste persone. Viviamo in un mondo in cui chi tratta di moto ne sa poco e quello che fa lo fa solo per i propri affari e con pochissima passione. Nel mio caso poi li avevo conosciuti quando correvo con la Life, il mio team della stagione dell'esordio che a metà rimase senza soldi,  e non so perché loro mi aiutarono a finire la stagione del ’77.

Una fiducia che hai trovato in altri personaggi che ti hanno supportato in tutta la tua carriera.  Ho avuto  la fortuna di avere un giro di 10 persone che mi sono portato dietro fino alla fine della mia carriera, ad iniziare dalla Dainese e AGV, persone con cui non ho mai fatto contratti ma solo strette di mano. Da quel punto di vista non mi si può dire niente, ho sempre rispettato gli accordi. Fuori dalla pista mi potevano accusare di comportamenti non consoni ma alla fine una fa quello che gli pare e non è obbligatorio vincere 10 mondiali, io quello che volevo dimostrare l’ho fatto. Il mio mondiale l’ho vinto.

Che avrebbero potuto già essere due se nella stagione ’80 non avessi avuto guasti e rotture che hanno pregiudicato il risultato finale.  Non ti dimenticare che nel mio mondiale di esordio alle prime due gare ho fatto un terzo ed un secondo e poi mi son rotto una clavicola, altrmenti sarei già stato in battaglia per il mondiale già il primo anno. Anche se ero con una moto privata, e posso dirlo dopo tanti anni, andavo veramente forte.

A proposito di andar forte, il record sul mitico tracciato del Nurburgring è tuo. Sotto la tuta la camicia, una trovata che è passata alla storia, com’è venuta l’idea ? Dovevamo scioperare io e Graziano Rossi, lui aveva già deciso di andare a gareggiare con Morbidelli l’anno successivo ed io mi ero messo la camicia sotto la tuta per fare un dispetto e prender per il culo la moto che andavo a lasciare, mia intenzione era fare due giri e fermarmi, poi girando ho visto che ero nei primi tre ed ho deciso che il dispetto glielo avrei fatto vincendo la gara e così è andata. Da lì in poi cravatta o foulard li ho usati sempre. E’ una cosa di cui mi vanto anche perché sembra che sia stato Valentino ad aver inventato le scenette. Io già nel secolo scorso indossavo le tute belle, i caschi particolari e facevo queste trovate. Ero troppo avanti forse.

A proposito di questo, la famosa stella è legata a qualche episodio particolare? Erano gli inizi del ’79 e stavo andando a La Spezia ed una nevicata bloccò l’autostrada e rimasi fermi in auto.  Ad un certo punto il cielo si rassenerò e vidi tre stelle cadenti ed espressi tre desideri.  Uno era legato alle condizioni di salute di mio padre che era stato appena operato di tumore e ai tempi tutti coloro che avevano subito un intervento del genere se ne andavano nel giro di poco tempo, chiesi che potesse sopravvivere a quella operazione. Il secondo legato alla nascita di mio figlio, chiesi che il mio stile di vite di allora, in cui utilizzavo sostanze proibite e dannose, non avesse ripercussioni su lui. Ed il terzo quello di vincere un mondiale, non dissi due, tre o cinque mondiali ma solo uno.  Tutti questi desideri si avverarono.

Altri aneddoti, sfogliando il calendario di un anno nel GP di Francia si vede uno zero sulla tua casella perchè non ti sei presentato al via per protesta verso la direzione gara. Paul Ricard, mondiale,  andai a soccorrere Uncini che era a terra con una mano rotta e quando arrivò il medico gli dissi, col poco francese che conoscevo, che aveva male alla mano. Il medico mi allontanò e con poco riguardo di Uncini cercò di strappargli il guanto incurante delle sue urla, allora spinsi il medico che scivolò contro le rete di protezione che erano alte mezzo metro e si ribaltò all’indietro. Mi fecero una multa e la direzione voleva le mie scuse ufficiali. Io scusa la chiedo quando ho torto, quando ho ragione no. Così  non ho preso parte a quella gara del mondiale.

Un motociclismo di altri tempi…oggi con gli interessi che ci sono sarebbe irrealizzabile un simile comportamento per un pilota dei nostri giorni. Oggi sono schiacciati da troppi interessi e poi... non si divertono più come noi anche ai box. Quando andavo io sul podio con la sigaretta ero criticato, oggi i piloti non fumano ma sono sponsorizzati dai tabaccai. Quando salgono sul podio con in bella mostra la marca della sigaretta  non dovremmo criticare anche loro ? Sono peggio di me questi: invitano gli altri a fumare però loro non lo fanno. Almeno noi eravamo coerenti, mi ricordo che quando andai a trovare Sheene in Inghilterra in ospedale mentre era in trazione per la frattura ad una gamba la prima cosa che mi chiese fu una sigaretta, cosa che se lo fai adesso  ti accusano di non essere un professionista. Siamo arrivati a degli estremi,alcune cose sono una vergona e il motociclismo è solo una piccola parte. Se penso al calcio... almeno noi cadiamo, ci rialziamo e torniamo a correre, loro si buttano per terra per prendere un rigore. Se fossi una donna non la darei mai ad uno che si butta per ottenere un rigore perché è un ladro.

Sheene... emozioni uniche, quali altri personaggi ti hanno trasmesso emozioni. Haillwood mi piaceva  da matti, uno che si presenta al via con la parrucca non poteva che essere il mio idolo,  poi gli americani...Aldana, quello con la tuta con lo scheletro, non poteva che piacermi. E poi, nel suo piccolo Agostini che ho rivalutato con gli anni perché da giovane la tua valutazione non poteva essere obiettiva perché c’era la rabbia che offuscava le considerazioni: tu non avevi nulla e lui aveva tutto. Con gli anni poi comprendi che bisogna riconoscere ad Agostini di aver inventato il pilota moderno, fu il primo ad avere uno sponsor e una professionalità rara per i tempi, non è stato una meteora ma è sempre stato lì ai vertici, a rischiare la vita, per anni. Anche se però alla fine  io ero per i disgraziati.

E la tua esperienza come team manager? Mi sono divertito, ho imparato tante cose. Però devo dire che ero un team manager atipico, se dovessi definirmi posso dire che era un team manager d’inverno, perché poi durante le gare io non stavo dietro al muretto dei box ma in curva con la gente comune a gustarmi la passione. A me piace il motociclismo vecchio stile, quello che ho riscoperto in alcuni corsi che faccio il questi ultimi periodi e con altre manifestazioni cui sono venuto in contatto.

Ho letto del tuo impegno con i Di.Di.. Diversamente Disabili, ragazzi che menomati dopo incidenti in moto hanno adattato le moto alle loro condizioni e sono tornati in sella. Mi sono divertito e porto massimo rispetto per chi si fa male con la moto e poi - la moto- non la odia . E poi devi vedere come vanno…

 Ci hai regalato grandissime emozioni nel corso della tua carriera, qual è stata invece l’emozione più grande vissuta di Marco Lucchinelli?  Sicuramente i figli. A me piacciono i bambini, ne ho tre e l’ultimo ha soli 3 anni e mi piacerebbe che assaporasse l’emozione della moto, non tanto quello delle gare, ma solo per il piacere di andare in moto. Mi piacerebbe scoprisse quanto è godurioso andare in moto, le emozioni che solo la moto sa dare. Se poi dovessi dire una emozione legata al mondo della velocità ci metterei senz’altro la vittoria del Mondiale e poi quando ho provato la Brabham di Piquet al Paul Ricard un’auto di una potenza allucinante. Allora io, Barry e Uncini eravamo stati contatti per fare un prova con quest'auto ed il migliore avebbe avuto la possibilità di gareggiare la stagione successiva nella formula 3000.  Fui il più veloce e mi guadagnai l'iscrizione al campionato. Disputai la prima gara ad Imola poi però i Castiglioni comprarono la Ducati e mi chiamarono e lì terminò la mia avventura con le auto. Comunque è stata emozione totale, perché a differenza delle moto in cui ti puoi far male uscendo dal garage, con l’auto sei più tranquillo ed hai più libertà di azione, mi ricordo che al primo giro appena fuori dalla visuale dei responsabili del team feci tre testa coda.

Panorama MotoGp, dopo gli anni disastrosi  Rossi-Ducati sembra che la grande novità  sia  Marquez.  Valentino in Ducati c’è andato perché non aveva alternativa, non per un reale innamoramento e i suoi due anni sono stati un fallimento. Come io ho fallito in Honda lui ha fallito in Ducati, come sviluppatore prima di tutto e i fatti parlano chiaro.  Su Marquez... beh  è un fenomeno, mi ricorda Spencer, chi se lo trova in squadra avrà un bel fastidio, un po' come avere un furuncolo nel collo quando hai la camicia con la cravatta, lo stesso fastidio, uguale. Mi piace, è forte, sa usare l’elettronica e poi…è sorridente.  Quello che maggiormente manca al motociclismo di oggi gente che sorride.

Grazie di cuore al campione Marco "Cavallo Pazzo" Lucchinelli.

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