Claudio Castiglioni

 

Innovatore e sognatore, pochi uomini incarnano queste parole come Claudio Castiglioni, l’uomo che ha regalato attraverso le sue creazioni emozioni uniche agli amanti delle due ruote.

Opere d’arte che vanno a toccare picchi di pura perfezione ma anche sfide, imprese e vittorie che hanno fatto battere il cuore ai motociclisti in maniera trasversale, dagli amanti del fuoristrada, dei rally fino a quelli del motomondiale.

Un uomo in grado di suscitare ammirazione e stima anche solo per le sfide che ha voluto intraprendere con rischi che a volte hanno travalicato il confine del buonsenso, della razionalità, del buon agire, per posizionarsi in quel territorio magico in cui i gesti vengono dettati dalla sola passione e l’anima è nutrita di emozioni pure. Luoghi in cui il denaro assume il ruolo di mero strumento necessario, non il fine ultimo, e non sono le gratificazioni personali a dettare le scelte, ma la ricerca ultima della emozione. L’emozione nel veder concretizzato un sogno, che fosse lo sfidare i colossi giapponesi nel mondiale gp nella classe regina, vincere la più famosa gara nel deserto con una moto italiana, o anche far tornare in vita marchi che hanno rappresentato la storia mondiale del motociclismo, con la creazione di modelli dallo spessore tecnico, ma anche artistico, senza uguali.

Claudio ha regalato a tutti i motociclisti creazioni che ancora oggi fanno battere il cuore. Specie le moto create in collaborazione con Tamburini sanno donare emozioni rare fra tutte le moto prodotte in serie, bastano solo pochi nomi per confermare questo, le Cagiva Mito e le Ducati 916 e Monster e le MV Brutale e F4.

Un personaggio che oltre a donare emozioni si nutriva di emozioni. Emozioni intense come quelle che possono venire dalle competizioni, su tutte battere i colossi giapponesi non ha avuto prezzo. Fu infatti un pianto ininterrotto a battezzare la prima - così tanto ricercata, dieci anni di attesa - vittoria della Cagiva, in quel di Budapest con Lawson. Le stesse lacrime che un appassionato di Rally avrà versato durante il festeggiamento della vittoria di Orioli sulla Cagiva nella Parigi Dakar del 1990.

Tanti insegnamenti ha lasciato questo uomo, “non mollare mai” dice di essere l’eredità più grande che ha ricevuto il figlio Giovanni.

Mai mollare, che lo portava ad affrontare continue sfide, anche se all’inizio poteva essere dura come lui stesso raccontava: “Ci furono Gran Premi, come Suzuka 1988, dove arrivammo a prendere due giri. Speravo addirittura che il motore si rompesse, per non andare incontro a critiche e magre figure. Fummo bravi a non abbatterci, traendo dalle sconfitte linfa vitale per fare gruppo e spingerci oltre nella ricerca”.

Un uomo con virtù anacronistiche nell’attuale panorama motociclistico, con rapporti conviviali e diretti, allergico quasi ai sistemi comunicativi divenuti quasi dogma incontrovertibile nel mondo odierno, fatto di comunicati stampa e marketing. Un uomo venuto dalla passione del passato che da ragazzino lo portavano a vedere Hailwood attaccato alla rete di Monza. Passione pura, vera, la stessa della gente comune, lontana da salotti, sale riunioni o locali alla moda.

 

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