David Lignite

Noi raccontiamo emozioni e capita che alcuni amanti del nostro sport vogliano condividere le emozioni che alcuni protagonisti riescono a far vivere. Abbiamo il grandissimo piacere di riportare le emozioni che un pilota di corse in salita ha fatto vivere a una vera appassionata. Il pilota è David Lignite e queste sono le emozioni di Bianca Lombardi.

Occorreva un trespolo di bastoni per ammirare con attenzione la prima curva del tracciato di gara al di là dell’alta staccionata di legno. Una delle più cruciali e difficili, in contropendenza. Una di quelle curve che, meglio di altre, metteva in luce i piloti o i neofiti e la loro impronta, pistaiola o stradale e dove il “pelo sullo stomaco “ sembrava davvero far la differenza. Tanti i piloti che la affrontavano in due tempi diversi oppure in una sola fase, percorrendola in largo. Uno stile di guida incomparabile, ineguagliabile, micidiale, fece alzare il vento fra le vie del mio cuore di appassionata. Quasi mai vista una roba simile. Impressionante. Bellissimo. Un pilota fece improvvisamente scintillare il mio sguardo e trattenere il fiato per interminabili secondi: era il numero novantanove.

Era David Lignite, pilota del Motoclub Fiorentino. Come una breccia nell’ aria lasciava un ricordo indelebile negli occhi, compieva ginnastica nelle vene. Incideva un’emozione dentro. Aveva fatto segnare il quarto tempo, non il primo o l’assoluto come mi sarei aspettata, ma il suo cavalcare era un vero e proprio dono della natura. Aveva passato gli anta e nella specialità delle cronoscalate l’esperienza è solo un punto, un punto fantasma di vantaggio. Dalla partenza al traguardo lottava senza pausa ne alcun tentennamento, non solo con se stesso. Per tutta la durata della gara sfidava la natura impervia di una montagna che doveva risalire il più velocemente possibile, dove nessun altro, se non lui e la sua moto, potevano dominarla. Una guida istintiva, la sua, irraggiungibile per chiunque altro osasse provarci. Inspiegabile per molti appassionati, pane e cioccolata per chi come me aveva un occhio allenato nella ricerca del motociclismo vero, quello che oggi soldi e sponsor fanno apparire solo dietro una lente di ingrandimento. Irruente e selvaggio. Coraggioso all’ eccesso. Senza limite, senza paura o riserva. L’ anarchico istinto d’un cuore da corsa trionfava ad ogni metro, ad ogni staccata, rettilineo, curva o tornante e dissetava quella sete fastidiosa e assillante di vita. Spalancava la porta a battiti e sussulti per scacciare quell’attesa, anche questa volta, scongiurata. Nascosto dietro il cupolino per accaparrarsi il meglio, per non perdersi neanche un singolo respiro.

Riusciva a piegare la moto in modo violento, caratterizzato da un angolo di piega esagerato, mentre con metà del corpo posto in avanti rispetto alla rimanente parte, si aggrappava ai due semi manubri con forza, determinazione e potenza, per poi rialzarla con una facilità e un’abilità surreali, nel bel mezzo di un traffico interno tutto suo. La sua Yamaha, aveva solo un difetto, affermava nelle interviste dopo gara, quello di avere l’avantreno leggero, per il resto eccezionale la definiva. E questo si notava alla partenza o all’ uscita dalle curve dove tendeva ad impennarsi e a ciò Lignite ovviava costringendola a stare attaccata all’ asfalto con un forte e aggressivo movimento di braccia verso il basso. Se lui perdeva manciate di decimi o qualche secondo prezioso, noi potevano solo goderci lo spettacolo. I suoi punti di forza? Corpo ed emozioni. Chi l’avrebbe mai detto che un pilota di velocità, se pur in salita, potesse avere la sua altezza senza esserne penalizzato?

Una corporatura imponente ma allo stesso tempo slanciata specie sulle gambe ed ingannevole tanto da farlo apparire in moto molto adatto alla sua disciplina. Caratterizzata da spalle poco pronunciate, ginocchia “semi aperte “ e da mignoli delle mani distorti come ogni vero “manico “ che si rispetti. In realtà ogni suo movimento, sguardo o gesto era governato da dentro, da una emozione. Guidava a seconda di ciò che provava in quel momento. E questi sono i piloti, quelli veri.

Proprio in tale segreto si capisce perché quando vediamo una moto correre, difficilmente riusciamo a ravvisare, in certi punti, dove finisca il mezzo e inizi l’uomo. L’equilibrio tra uomo e macchina, cuore e ragione, urlo o silenzio, pace o rabbia. E dove si possa intravedere la ragione di certi uomini, la cui ombra, anche notturna, sia un bisogno senza tregua di vivere davvero, ne abbiano la capacità di spiegarlo. Perché ogni pilota segua la propria traiettoria, prima della gara si comporti a modo suo, perché dopo essere caduto non sogni altro che di poter correre di nuovo. Ciò che richiamava di più l’attenzione erano i suoi occhi azzurri sotto la visiera. Alla partenza erano concentrati e diretti ma in attesa, con le palpebre rilassate. Appena lasciava la frizione si trasformavano al punto da sembrarne privi, tanto erano grandi e spalancati. Profondi, attenti, sterminati dove potevi intravedere fulmini, lampi, mari d’inverno, oceani quieti, distese di ghiaccio, lagune, terreferme, penisole, deserti.

Così da quella curva dove tutto iniziò, ritornavo anno dopo anno, aspettando con ansia il giorno in cui si sarebbe disputata la gara. Di buon mattino, babbo, mamma ed io ci incamminavamo per il paddock, finchè arrivati vicino alla partenza, nei pressi del gazebo di Lignite, lasciavamo la mamma al fresco del bosco con il compito di svelarmi, poi al ritorno, come si sarebbe preparato prima della partenza. Mentre il babbo ed io attraversavamo il ruscello sotto la strada e cercavamo dei bastoni nel bosco per poi costruire una sorta di appoggio che ci avrebbe consentito di vedere al meglio lo spettacolo al di la di essa. Quando, finalmente, dalla partenza scorgevo arrivare l’ inimitabile profilo del Lignite iniziavo a gridare:” forza Lignite!”. E tutti gli spettatori che si sorreggevano come me alla recinzione mi guardavano stupiti pensando:” lo conosci? Chi è? E chi sei tu per conoscerlo?”.

Un anno però, fu più particolare di tutti gli altri. Ricordo ancora che quella mattina il babbo ed io eravamo giunti alla Sillano-Ospedaletto in ritardo rispetto al nostro solito, molto presto per ammirare il risveglio del paddock. Così la strada era trafficata dai numerosi partecipanti accorsi e da piloti in subbuglio: il via delle prove cronometrate stava subendo un ingente ritardo a causa di un controllo dei partenti da parte delle forze dell’ ordine. Quando giunsi vicino alla partenza la strada era semideserta e nel mezzo di essa, seduto su di una sedia da campeggio blu, rivolto verso di me c’era il Lignite. Lo rivedo ancora nei minimi particolari.

Capelli scuri e corti lateralmente, coperti in parte dagli altri lisci e legati con un gommino dal quale fuoriuscivano ricci. Fronte ampia e abbronzata con al centro una cicatrice verticale ombrosa che terminava nel mezzo di due sopracciglia più chiare dei capelli, a tratti mosse. Sguardo leggermente inclinato verso l’altra parte della strada. Labbro inferiore pronunciato su quale si appoggiava il superiore, conformato a mo’ di emme figurata appena ravvisabile. Pizzetto appena accennato, di forma quadrata, che si estendeva fino al contorno superiore del mento immerso nella barba scura sottopelle. Due piercings, ad anello, in oro giallo, uno per ogni orecchio. Tuta semiaperta, braccia posate sulle cosce Cosa potevo fare? Tutto appariva così perfetto. Questa volta non lo avevo visto partire il treno, lo avevo preso. Sembrava che mi aspettasse. Emozione, agitazione, tachicardia e mistero. Ero presa da un dubbio atroce: passare oltre facendo finta di non conoscerlo oppure vivere un momento che aspettavo da sempre? Una cosa era certa: per niente al mondo sarei tornata indietro ne avrei saputo lasciarlo alle mie spalle con il rimorso di non averci provato. Dovevo solo trovare il modo con cui richiamare la sua attenzione e farmi coraggio. Mossi il primo piede, poi l’altro quando all’ improvviso mi chiesi:” e se non fosse questo il momento giusto?”.

Non lo era... ma non avrei nemmeno saputo rinunciarvi dato che ormai mi trovavo davanti a lui. “Lei è David Lignite?” gli dissi con lo zainetto rosso sulle spalle di fianco a mio papà che mi supportava psicologicamente. Il suo sguardo era gelido, sfrontato, accigliato, rapito da qualcosa di fronte a lui, chissà da cosa. Quel qualcosa che aveva appena trovato e che già sfidava con tutto se stesso. Lontano, distorto, pesante, impaziente. Come il suo pensiero che correva veloce chissà dove e il suo respiro profondo che sembrava cercare nell’aria una brezza leggera, che non appena sarebbe divenuta vento avrebbe segnato l’ora di chiudersi la tuta. “Si” rispose senza nemmeno voltarsi. La sua risposta evocò in me speranza. Così provai a spiegargli quanto mi piacesse il suo modo di guidare la moto. Ogni sua parte del corpo rimase immobile. Speravo con tutta me stessa in una risposta e continuai a farlo in un silenzio che apparì lungo, impietrante, indecifrabile, impenetrabile, impossibile da arginare o interrompere e che mise ancora di più in luce la differenza fra lui e me. Passavano i minuti e nessun muscolo del suo corpo si mosse ne seguì alcuna risposta. Subito dopo guardai il mio papà: il destino mi aveva giocato un brutto scherzo. Nell’ imbarazzo e nella delusione fui costretta ad andarmene.

Lo sconforto durò solo un passaggio, mi bastò vederlo di nuovo correre verso il traguardo delle prove per tornare a sostenerlo, ricordandomi che proprio in quel tracciato iniziò la sua carriera, raccogliendo al debutto un bel quarto posto. Negli anni successivi passa da una categoria all’ altra, dalle naked alle sportive, dalla cilindrata 1000cc alla 600cc. Suzuki, Yamaha, Honda o Kawasaki fa poca differenza perché la sua carriera ventennale è caratterizzata da podi e buoni piazzamenti. Uno dei tracciati che porta nel cuore è la Poggio -Vallefredda dove nel 2005 vinse il Trofeo della montagna e che spesso ricorda con affetto per l’ambiente e l’ospitalità che la contraddistinguono. Grandi prestazioni, da ricordare la cronoscalata Radicondoli- Madonna Olli del 2010 dove nella classe 600 Stock Lignite vince gara 1, mettendosi alle spalle Stefano Bonetti, l’italiano più veloce di sempre al Tourist Trophy che vincerà gara 2 davanti al campione toscano. Il suo miglior risultato è stato la vittoria nella categoria 600 Stock del Campionato Europeo della salita nel 2012, caratterizzato da una tappa in Austria dove, a causa della temperatura, si presenta alla partenza con la sua felpa blu indossata sopra la tuta, alla partenza scatterà con la ruota anteriore alzata.

Nel 2014 si presenta al via con una Kawasaki Ninja 600 e gli occhiali da vista sotto il casco, riportando così, per un momento, noi appassionati con i piedi per terra. Termina la stagione all’ottavo posto con una moto ancora da conoscere ma questo non gli impedisce di tagliare il traguardo della Poggio -Vallefredda in mono ruota. Di recente, è apparso in un video mentre percorre in auto il tracciato del Passo dello Spino che si terrà nel 2015 commentandolo con un “mi piace, mi piace “ che ha tutta l’aria di essere una promessa.

Il suo portafortuna è un portachiavi con un pupazzetto del Pokemon Pichaku che si adagia sulla piastra di sterzo della moto di turno. Fra tutte la fedele compagna sembra essere la R6, verso cui sembra avere un reale sentimento di affetto, tanto da ritrarsi in alcune foto mentre la ricopre di amorevoli cure, imboccandola con una forchetta di penne al pomodoro o appoggiando il capo alla carena a fine gara.

La sua è una carriera importante che poteva però essere molto più ricca di titoli. Ma quando mai la vita ci da ciò che ci spetta? Talvolta, con triste speranza. Quanti piloti di velocità si sarebbero meritati di vincere un campionato o un mondiale o almeno di vedersi attribuire quel famoso dodici più uno di Angel Nieto. Ma il vero talento è proprio quello non costante, naturale e come tale ciclico. Questa è la sua bellezza, ma anche il suo limite. Se un pilota per essere tale deve avere tre caratteristiche: guidare col cuore, anche se il motociclismo è già di per se un fatto di cuore, avere un aspetto particolare ed essere un istrione (il motociclismo a cui faccio riferimento è ben lontano dai piloti di oggi del motomondiale che si lasciano intervistare in ogni momento e che rispettano gli accordi con gli sponsor), Lignite ne detiene due e mezzo su tre. Si, perché dopo essere aver appena lasciato il gradino più alto del podio confida: “sono venuto su in relax” o “ho usato le gomme che adopero per allenarmi”, precisando di aver ripetuto il tempo dell’anno precedente o di averlo addirittura alzato, concludendo poi che “anche tutti gli altri hanno peggiorato e che quindi va bene così, va bene così”.

Rimane un sogno, oggi divenuto un rimpianto: ritornare in quella curva, la prima curva del tracciato della Sillano-Ospedaletto, dove un giorno d’agosto di tanti anni fa tutto ebbe inizio e poter di nuovo vedere giungere dalla partenza l’indimenticata immagine del Lignite. Vorrei che questo diventasse speranza. Vorrei poter assistere di nuovo alla magia di Sillano. La vorrei vivere, non ricordare. Vorrei tornare a riprendere il mio cuore. David Lignite è un campione, il suo nome è scritto negli albi d’oro delle corse in salita e se qualcuno si chiederà chi sia non dovrà faticare molto perché caro pilota se ti si vede passare ‘un ti si pole dimentiare.

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