Dakar - Emozioni di un passato che non c'è più.

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Il 4 gennaio 2008 la prima Dakar, quella sognata da Sabine morì: addio Africa. La vigilia di Natale 2007 in Mauritania una famiglia francese, che si era fermata a bivaccare lungo una pista, venne sterminata da quattro persone che dichiarò di far parte di Al Qaeda. Seguì poi una dichiarazione “Se la Dakar passerà da queste strade verrà attaccata e i Francesi saranno il primo bersaglio”. Nonostante le assicurazioni del governo mauritano, 4.000 soldati messi a presidiare le zone di passaggio, nessuno volle prendersi la responsabilità di far partire quella gara e poco prima della partenza, a Lisbona, venne ufficializzata la cancellazione dell'edizione di quell'anno, mettendo fine a un'epoca straordinaria. Africa addio, appunto, addio a quell'irrepetibile periodo colmo di sogni, imprese ma anche dolori e tragedie.

Da quella vittoria del terrorismo, la Dakar è rinata, in nuove vesti, con nuova tecnologia a scandire tempi e ritmi e nuovi mezzi a calcare nuovi percorsi. Un nuovo continente ha abbracciato piloti che cercano di realizzare il loro sogno che può essere l'affermazione agonistica per i professionisti al servizio delle case ufficiali, o il semplice arrivare al traguardo per coloro che cercano nella Dakar lo spirito con cui questa era nata. Una competizione estrema, che metteva alla prova il corpo e la mente, in luoghi impegnativi e ardui che obbligava a dare il meglio di sé stessi e portava a scoprire il proprio limite.

Ora la Dakar ha attraversato l'oceano e noi vogliamo celebrare a modo nostro la Dakar non solo onorando gli eroi che hanno scritto pagine indelebili di questa unica gara al mondo (basta navigare un po' per conoscere di chi abbiamo già parlato) ma vogliamo ricordare qualche episodio particolare, per sottolineare cosa è stata la Dakar, il sogno Dakar ma anche cosa rappresentò la Dakar, come fenomeno mediatico e di costume. Perchè nella gara in terra africana sognata e poi concretizzata da Sabine tanti aspetti si legavano e mischivano nella sabbia del deserto, dal romanticismo totale fino alle operazioni commerciali.

 

 

Dakar come ritorno mediatico. Un'affermazione alla Dakar o un buon risultato aveva un ritorno di immagine incomparabile rispetto a vittorie nazionali di discipline quali enduro o cross. Se poi il risultato, e spesso il solo arrivare al traguardo era considerata una vera e propria vittoria, era effettuato dal gentil sesso è facile prevedere il ritorno di stampa e televisioni. Il primo nome femminile che venne associato a Dakar, poi sarebbero arrivate altri grandi protagoniste, fu quello di Martine de Costanze. Nella sua famiglia i motori erano di casa e lei, figlia della borghesia francese, si iscrisse con una Honda 250 XLS alla prima edizione di quella che era a tutti gli effetti un'avventura sconosciuta. Il suo numero era il 41 e terminò decima tra i motociclisti e diciannovesima nella classifica di tutti i mezzi. Un risultato incredibile che la portò agli onori della stampa portandola a scrivere anche il libro “Une fille dans le desert” in cui raccontò tra l'altro quando rimase in bilico su un ponte con la moto. L'aneddoto più significativo fu però quando raccontò dello sconforto e disperazione che la avvolse il giorno prima del traguardo, alla penultima tappa con la moto che proprio non voleva saperne di ripartire. Un lasso di tempo infinito che sembrò interminabile e probabilmente fu determinante a assaporare la gioia  pura che la invase quando la moto si riaccese decidendo di consegnarla alla leggenda.


La Dakar luogo magico, mistico come tramite verso una consapevolezza...ma Dakar anche come sperimentazione e come vera e propria sfida alla razionalità e al buon senso perchè è nella incoscienza e in questa sfida che si può realizzare qualcosa di epico. Questa impresa epica poi, se messa nelle mani di sapienti comunicatori, può divenare uno straordinario strumento di marketing. Ecco allora l'idea di attraversare il deserto con una Vespa. Certo il buon Patrignani aveva già testato le capacità del mezzo italiano ma vedere il piccolo scooter sullo sfondo delle dune è una immagine che ancora oggi suscita emozioni. Il visionario fu  un rallista di ungo corso, con anche partecipazioni alle 24 ore di Le Mans: Jean Francois Poit. Alla prima edizione della Dakar, in qualità di responsabile delle comunicazione della Honda France, allestì la squadra composta da 3 piloti classificandosi al terzo posto. L'anno successivo passò alla Piaggio con lo stesso ruolo e consapevole del ritorno di immagine e poi di vendite che la Dakar aveva, si inventò la partecipazione della Dakar in Vespa, scooter che allora in Francia era uno dei più venduti. Così venne preparata una P 200E speciale con un elenco di modifiche apportate al piccolo mezzo. Al primo punto le ruote: 12 pollici. Al secondo punto aumentare l'autonomia realizzata grazie a un serbatoio supplementare. Furono poi rinforzati il manubrio, il carter, il piantone e gli ammoratizzatori. A questo punto restava solo da mettere insieme il team, vennero scelti degli specialisti in gare in vespa: Bernard Neimer (che concluse ottavo alla prima edizione della Dakar) i fratelli Bernard e Yvan Tcherniavsky (collaudatori Piaggio in Francia) e Bernard Simonot. Da buon esperto in comunicazione aumentò gli ingredienti per il risalto mediatico. Le Land Rover dell'assistenza erano guidate da conosciuti piloti delle quattro ruote: due rallysti e un pilota delle 24 Ore di Le Mans.

L'impresa aveva i contorni di un'odissea e infatti fu così. Il prologo fu agevole ma quando il terreno sotto le ruote dei mezzi italiani divenne quello africano inizarono a ripetizione le forature delle gomme, a seguito non tanto del manto ma delle vibrazioni. Le gomme picchiando contro i cofani posteriori si disintegravano. Già dopo poco tempo erano fuori tempo massimo. Il problema venne risolto dopo l'intervento dell'assistenza ma per la classifica ormai erano esclusi, così il nuovo obiettivo divenne  arrivare a Dakar: Dall'Italia arrivarono i pezzi rinforzati per realizzare l'impresa.

Quando venne il turno delle dune le vespa sprofondavano nella sabbia e delle quattro partite solo due vespe arrivaro a Dakar. Con un manifesto pubblicitario di una vespa che volava alla Dakar e la scritta “C'est l'exploit” le vendite in francia aumentarono del 160%.

Anche quella era Dakar.

Tuttavia Dakar è soprattutto romanticismo, uomini che prima di sfidare le dune e le distanze chilometriche sfidano loro stessi. Su tutti ci piace ricordare la storia di Beppe Gualini, perchè forse lui più di altri ci ricorda cosa era il sogno Dakar e cosa si faceva per realizzarlo

 

Dopo anni di esperienze in giro per il mondo, nel 1983 Beppe Gualini riuscì, con una fantic RSX 125 a iscriversi alla gara del mistero. Per prepararsi alla devastante gara decise di prendere il via a una gara organizzata poco prima della partenza che sembrava essere il preludio alla Dakar, da svolgersi sulle dune dell'Egitto, una palestra per il Tenerè . Si presentò così a Venezia per imbarcare la moto sul traghetto partito dalla sua Bergamo con alle spalle uno zaino contenente pochi pezzi di ricambio, il sacco a pelo e qualcosa da mangiare, venti chilo in tutto. A tracolla una gomma, nella perfetta raffigurazione di un ciclismo di altri tempi. Sul porto trovò l'organizzazione della gara che avvisò che la partenza della gara era stata rinviata alla mattina successiva ma con porto di imbarco Brindisi, a seguito di problemi del porto Veneziano. Un rapido conteggio: 900 chilometri separano Venezia da Brindisi, così senza porsi altre domande, con il suo piccolo 125 non ci pensò un attimo, salutò tutti e si mise in moto, nel vero senso della parola.

Manopola sempre spalancata, nessuna sosta durante il percorso e tutta la notte accovacciato sul serbatio. L'alba quel giorno la vide da Brindisi e per lui l'avventura, già iniziata a Venezia, proseguì nel deserto africano. Quella storia, quell'amore prosegui per tanti anni ancora: dieci.  Da solo, senza meccanici al seguito, capaca di adattarsi alla situazioni estreme della Dakar affrontandole a viso aperto e uscendone sempre vincitore.

Dakar era però mistero, rischio e incognita su ciò che poteva succedere.

Tra le tante storia che costellano il firmamento della Dakar quella del torinese Winkler ha i contorni del romanzo e forse più di altre tramanda a chi ha ancora il piacere e la voglia di ascoltare i racconti, l'essenza, l'imprevidibilità e il rischio di questa competizione, che tanto può dare ma anche tanto può chiedere.

 

Winkler partecipò a otto edizioni della Dakar, ma non saranno i risultati, seppur onesti, a mettere il suo nome tra le stelle della Dakar, quelle stelle che fanno brillare gli occhi agli appassionati, ma l'epopea vissuta nel Tenerè nell'edizione del 1989.

Era il 3 Gennaio, la terza tappa, quella che da Termit portava a Agadez. Nel mezzo del Tenerè si ruppe il carburatore della moto. Si fermò a ripararlo e mentre era chinato sulla moto arrivò un gruppo di Tuareg che gli rubò diversi oggetti, oltre che l'abbigliamento, guanti e occhiali la borracia. Nonostante ciò riuscì a far ripartire la moto, che però dopo solo 30 chilometri si ammutolì per sempre. Fortunamente aveva con se il sacco a pelo e riuscì a sopravvivere al freddo del deserto notturno. Cosa che successe anche la seconda notte nonostante fosse stato visto da un aereo di soccorso che gli gettò un biglietto che lo informava che stava sopraggiungendo un camion di soccorso. Pensando che il camion fosse passato e non lo ebbe visto Aldo la mattina lasciò la moto, fece una grossa freccia sulla sabbia indicando la direzione che prese e si incamminò nel deserto, nella speranza di incontrare i Tuareg che pochi giorni prima lo avevano derubato. Dopo 12 chilometri di cammino riuscì a trovare una famiglia che lo soccorse offrendogli da bere e del cibo. Con loro trascorse la terza notte nel deserto. La mattina successiva quando sentì il rumore di un aereo corse fuori dalla tenda e scrisse sulla sabbia il suo numero di gara: 129. Un altro biglietto che informava che i soccorsi a breve sarebbero arrivati. Questa volta dopo due ore un elicottero atterrò nel deserto del Tenerè, lo fece salire e lo condusse a Agadez dove venne accolto dall'equipaggio della Dakar con una bottiglia di spumante a festeggiare il suo salvaggio.

Ci sono tantissime altre storie, prima di vita e poi agonistiche, che hanno il loro nodo in questa gara nel deserto.  Alcune di queste storie appartengono solo al passato e non potranno essere più vissute, perchè quella Dakar non c'è più. Spesso guardiamo al passato con nostalgia e in questo caso non possiamo che approcciarci ai ricordi in questo modo, con la nostalgia di rimpiangere una passione per le due ruote e forse per uno stile di vita in genere che non ci sarà mai più.