Intervista a Mario Lega

 

Abbiamo il piacere di porre domande, ma soprattutto goderci il racconto di alcuni aneddoti, ad un grande personaggio oltre che un grande campione. Uno degli italiani in grado di conquistare un titolo mondiale in sella ad una moto italiana. Trascriviamo pressoché interamente il racconto di quegli anni in quanto pensiamo che siano uno spaccato su un mondo lontano in grado di provocare ancora oggi emozioni e nostalgie. Un motociclismo quasi in antitesi a quello attuale, lo stesso motociclismo che nel proseguo della piacevole chiacchierata il campione del mondo anno 1977 classe 250 Mario Lega non risparmia di critiche e accuse.

 

La storia di Mario Lega è bene raccontarla perché rappresenta un insegnamento su come farsi trovare pronto e cogliere le occasioni che si presentano. Come erano quegli anni e com’è  stata quella stagione in cui ti sei laureato campione del mondo?

Prima del titolo mondiale correvo grazie al gruppo storico di amici che mi supportava tecnicamente e in tutte le trasferte. In più c’era la scuderia DM che mi aveva preso sotto le sue ali ed ero come dire… un privato di lusso, non avevamo moto ufficiali ma non ci mancava niente, dalle trasferte ai pernottamenti negli hotel fino alla cucina. Posso dire che siamo stati i primi ad avere una sorta di hospitality in cui l’autista faceva anche da cuoco ed i giornalisti, che non si interessavano mai a noi perché non avevamo risultati eclatanti, a mezzogiorno ci venivamo a trovare e chiedevano “salve come va?” e si facevano allungare un piatto di pasta.

L’antefatto di quella stagione è che non avevo contratto, avevo amici che mi preparavano una Yamaha ultra privata e le motivazioni non c’erano ed ero intenzionato a smettere. Nell’inverno del '76 io potevo anche non allenarmi in quanto avevo deciso di non gareggiare più, però nonostante questo lo feci, in contrasto con me stesso perché l’allenamento richiede sacrificio. Allora non esistevano palestre come oggi, se volevi trovare della attrezzatura per potenziare le braccia dovevi andare in quella dei pugili, ed  io frequentavo quella di Lugo e posso dire di avere passato la mia gioventù all' E.N.A.L pugilistica, palestra che tra l'altro ha allenato anche Francesco Damiani. Fu così che anche quell’inverno continuai con la mia routine lavoro-palestra-casa a discapito di quella vita che facevano gli altri miei coetanei: uscite con amici, divertimenti, ragazze ecc. Più volte mi  posi la domanda “ma chi te lo fa fare”, beh mi risposi che non sapevo fare altro, che comunque, se non mi allenavo con lo scopo di correre in moto, lo avrei fatto per mantenermi in forma. Fu questo che mi permise di essere pronto quando Paolo Pileri fece il mio nome per sostituirlo dopo il suo infortunio. Allora la Morbidelli era una casa famiglia e chiesero a Paolo chi prendere al suo posto, e lui fece il mio nome. Fu così che nacque questa collaborazione e addirittura alla prima uscita a Imola chiamarono Primo Zanzani che era stato il mago delle Motobi 5 tiranti ed aveva lavorato con me alla scuderia DM, prima che smettessi. In pratica cercarono di mettermi a mio agio con il mio “Jerermy Burgess”, così da tradurre le mie esigenze su una moto che aveva un grandissimo potenziale, ma non aveva ottenuto ancora nessun risultato rilevante. Io mi feci trovare pronto e all’esordio ad Imola feci due secondi posti che non erano mai stati fatti dalla Morbidelli, pur avendo anche ingaggiato Agostini per una gara a Misano.  Non so se posso definirlo esordio col botto, perché Imola era la mia pista e la conoscevo bene, tanto che nelle 350 avrei potuto anche insidiare la vittoria ad Alan North che aveva dei problemi al cambio, ma mi limitai a portare a casa il secondo posto. Pertanto se qualcuno dovesse dire “hai avuto la fortuna di...” io posso rispondere che si ho avuto questa fortuna, ma mi sono fatto trovare pronto e preparato.

 Tra gli appassionati si racconta di quando alla fine della penultima gara della stagione, arrivando terzo e conquistando così il titolo mondiale hai mandato a qual paese tutti. Fu un modo di sfogare la tensione di una intera annata e di un traguardo raggiunto o c’era altro?

Quella era la mia prima partecipazione per intero al campionato del mondo, molte piste non le conoscevo e c’è una dietrologia che carica di stress ogni singolo episodio. Il fatto principale è da ricondursi nella trasferta dalla Finlandia alla Cecoslovacchia che imponeva di attraversare il confine con la Germania dell’est. Durante questo trasferimento il camionista si addormentò finendo con il furgone fuori strada in un campo ribaltandosi. Il terrore immediato fu per il padre di Bianchi che sfondò il vetro del camion e rotolò fuori facendo temere per una paralisi. Tieni presente che allora l’est era est, dovemmo far ricoverare il padre di Bianchi nel loro ospedale, dove non c’era possibilità di comprensione in quanto nessuno di noi parlava tedesco, l’unico interscambio erano le poche parole in inglese tra me e un paziente in corsia dell’ospedale che faceva da interprete. Constatato che il padre di Bianchi non era in pericolo serio, dovemmo organizzarci per portare la moto sulla pista in cui ci si giocava il mondiale, in Cecoslovacchia. Così dovemmo cercare un camion per caricare il nostro furgone e terminare il viaggio. Potete immaginare la difficoltà di far passare un camion Tedesco con sopra un furgone Italiano alla frontiera con la Cecoslovacchia. Quando dopo le interminabili operazioni arrivammo a Brno, in centro, il camionista ci disse che dovevamo scaricare il furgone in fretta perchè lui doveva tornare nella sua Germania. Ma come scaricarlo? Nessuno poteva aiutarci, non si trovava una gru o altri strumenti per terminare l'operazione. Fu così che l’estro Italiano emerse, il mio meccanico, Sergio Baroncini che era venuto in aiuto dall’Italia, e che di professione faceva il soccorritore Aci, si ingegnò nel far rinculare il camion vicino ad un monumento scalinato e con delle assi facemmo scivolare il furgone su quella improvvisata rampa. Piano piano il camion scese. Ma quando aprimmo il furgone, era tutto a soqquadro. Le moto si erano distaccate dal supporto e si erano urtate tra loro, le leve avevano bucato i serbatoi e si erano rotte insieme alle carene. Presi dallo sconforto e dalla stanchezza decidemmo di andare a riposare, tutti tranne Sergio che durante la notte fece un mix tra le moto. Pileri diede la disponibilità ad usare i pezzi della sua moto per sostituire i miei pezzi disastrati. Fu così che alla mattina successiva ci presentammo alle qualifiche con una moto piena di bozze e assemblata alla bella e meglio. Era quella moto che doveva supportarmi per il titolo mondiale. Per diventare campione del mondo a me bastava il terzo posto ed essere matematicamente campione con una gara d'anticipo. Per essere sicuro della tenuta del motore chiesi al team “mettiamo un pistone fresco”  in quanto non avremmo in ogni caso potuto sostenere la trasferta all’ultima gara a Silverstone. I meccanici negarono l'esigenza, sostenendo che quello montato andava benissimo perchè aveva pochi chilometri. Io mi impuntai e lo feci sostituire, dopo pochi giri di qualifica il motore grippò. Per la gara dovetti partire con una moto che veniva da un grippaggio e la disistima di tutto il team.

Con tutte queste emozioni vissute nel giro di poche ore, mi preparai alla gara che mi avrebbe potuto dare il titolo mondiale con la consapevolezza che non potevo fallire in quanto era l’unica possibilità a disposizione perchè con la moto in quelle condizioni e senza furgone non avremmo potuto partecipare all'ultima  trasferta. Partito in testa dopo poco mi superarono Villa e Uncini, a me andava bene il terzo e non volevo forzare, però a metà gara Mick Grant mi sorpassò e da terzo campione del mondo virtuale mi trovai quarto non essendolo più. Per fortuna Grant ebbe una perdita dal serbatoio e si ritirò ed io tornai virtualmente campione. L’alternanza di emozioni era gravosa. Katayama mi stava inseguendo guadagnava terreno su di me. Ricordo che c’era un punto, dopo una curva con delle balle di paglia, in cui mi giravo per controllare la situazione per vedere se arrivava. Fotogramma dopo fotogramma: prima non lo vedevo, poi vedovo la sua ruota, poi tutta la figura intera, ero spacciato! Alla fine anche Takazumi Katayama ruppe. Ora ero rilassato, tutti dal box mi dicevano di andar piano. Vado piano, vado piano…rispondevo muovendo il casco in un vistoso cenno di assenso. Forse troppo piano, perché Ballington Fernandez e Tom Herron non stavano andando piano ma mi stavano venendo a prendere lottando tra loro per il quarto posto. A quel punto le mani che prima mi dicevano piano piano, ora dicevano vai vai. Cambiare il ritmo  durante in gara non è cosa facile, uno stress non da poco. Ma alla fine ce le feci: arrivai terzo con una ventina di metri su loro, ed ero campione del mondo, ma con tanta sofferenza. Quando tagliai il traguardo sbottai con l'Italico gesto dicendo dentro di me: “ma...andate tutti a fare delle pugnette!”. Sul podio ero serio come se l’avessi perso perché non riuscivo a togliermi questa tranche agonistica, nonostante le pacche sulle spalle e le grida. Solo durante la premiazione sul podio, il fido Baroncini mi disse “dai ridi..sei campione del mondo”…lì la bolla in cui ero rinchiuso scoppio e sorrisi timidamente.

E le voci che la Kawasaki voleva offrirti un contratto per l’anno successivo, ma non si fece nulla perché non ti sei presentato a Silverstone?

 Il team non aveva i mezzi per andare a Silverstone e io non avevo le finanze. Le voci della Kawasaki erano vere. Grant che allora correva per la casa di Asahi mi disse che ero ben visto in Giappone, “stai vicino al telefono che presto suonerà”, mi disse. Io feci l’errore, di non andare a Silverstone anche senza moto, era una situazione in cui avrei dovuto sobbarcarmi i costi della trasferta e all’epoca i soldi erano pochi. Avrei potuto presentarmi alla gara come campione del mondo con una gara di anticipo, da spettatore ed intrattenere delle pubbliche relazioni che forse mi avrebbero fatto strappare il contratto per l’anno successivo. Alla fine riconfermai con la Morbidelli con una trattativa avvenuta a denti stretti.

 E’ vero che correvi grazie ai permessi e alle feria dell’azienda in cui lavoravi la SIP?

Non grazie ai permessi, prima mi fecero usare tutte le ferie e poi i permessi senza assegni e infine presi sei mesi di aspettativa. Non fu un rapporto sereno, mi osteggiarono in tutte le maniere, anche con brutti episodi.

 Un ricordo di  Morbidelli?

Morbidelli è uno dei pochi veri appassionati, era uno che aveva la passione dentro. Ancora ho l’immagine di lui al Nurburgring in ginocchio, dopo essersi tolto la giacca a smontar la pompa dell’acqua della mia moto. Aver fatto il museo, avere speso tempo ed energie per avere moto uniche, basta citare la progettazione e la costruzione di un otto cilindri su tutte, che gli rende onore come costruttore. Un altro grande pregio che ha avuto è stato riconoscere che allora con le due tempi non bastava la passione per emergere, ma serviva tecnica, ebbe l’intuizione di ingaggiare Jörg Möller. Möller a quel tempo era un genio, qualunque cosa toccasse faceva cavalli o cavalla, come diceva nel suo italiano Teutonico: “oggi fatto uno cavalla in più ”. All’inizio nessuno credeva alle sue stime ottimistiche, quando fece il primo motore disse “avrà quaranta cavalli”. Nessuno poteva credere ad una stima così precisa e nacquero le prime scommesse. Motore al banco risultò di 41 cavalli, e vinse il denaro che era stato scommesso. Lui era specializzato nella dinamica dei fluidi, si metteva con le sue maschere, specchi luci, e dopo  aver lavorato 10 minuti su un motore esordiva con  “abbiamo 2 cavalla in più, scommettiamo?”.  Inutile dire che nessuno dava seguito a ulteriori scommesse dopo averne perse troppe.

 Che amici veri avevi nel Paddock? E quali sono le emozioni più grandi che porti con te?

Di amicizia ce ne sono state tante, ma amicizie profonde quelle con la A maiuscola le ho vissute solo con Pileri, con quale condividevo la camera, e con Bianchi. L’amico è quello che frequenti tutti i giorni, non riesci a instaurare una amicizia vera vedendoti nei fine settimana. Devo però dirvi che  aver condiviso il rischio di quei tempi, combattuto gomito a gomito con questi personaggi ti rimane un grande affetto. Un sentimento  che abbiamo riscoperto nelle rievocazioni storiche. Se penso a quando ho rivisto Alan North in Olanda con il quale avrò scambiato poche parole nella vita da pilota, complice il limite della lingua, è stato incredibile. A distanza di anni ci sono venuti gli occhi lucidi, allora eravamo avversari, ma abbiamo condiviso il rischio, le gioie, le paure, le cadute, le sconfitte. E’ come quando rivedi un tuo compagno di scuola, lo rivedi con un affetto particolare. L’altra cosa bella e che oggi mi gratifica, è incontrare quei campioni che da giovane vedevi in fotografia delle riviste specializzate ed essere trattato come collega. Allora vedevo le fotografie di Jim Redman, il Rodesiano dagli occhi di ghiaccio e difficilmente avrei pensato di poter scambiare abbracci e pacche sulle spalle incontrandolo in un Classic Event.

Dal tuo ritiro agonistico ad oggi che fai l'opinionista  com'è cambiato l'ambiente?

L’ambiente è peggiorato tantissimo al livello umano, ma tecnicamente ha fatto passi da gigante. Noi vivevamo il paddock,  giocavamo a pallone tra noi, piloti, meccanici, ora sono tutti chiusi nei loro motorhome e non si parlano nemmeno. La tecnica però ha fatto grandi progressi e soprattutto è veritiera. La telemetria, per dire, ti contesta qualunque cosa tu dica, ma ti aiuta. Ti permette di migliorare nelle curve dove sei debole e ti preserva dal rischio di forzare rischiando in un punto dove sta già andando bene. 

 Hai vissuto le due tempi da campione che valutazione dai a questa MOTO2 e più in generale sulla gestione Dorna  ?

Che parole posso utilizzare senza incorrere in una querela?  Hanno scopiazzato dalla formula 1, con l’idea delle hospitality e il resto, aver allontanato la moto2 e la moto3 dal paddock ha creato una discriminazione che non ha senso. Loro ti affittano i motorhome: è tutto un guadagnare soldi. Tutto è asettico, formale, senza contatto. Forse l’unico merito che va loro riconosciuto è quello di aver diviso la torta e anche l’ultimo prende i soldi. Per il resto non riesco a trovare elementi positivi, guarda ad esempio Uncini e Capirossi. Loro sono stati assunti come responsabili sicurezza e per questo ruolo vengono pagati al pari del presidente della federazione motociclistica internazionale Ippolito. Ma risultati alla mano, il loro ruolo è quello di non intromettersi in nessuna questione, una bella facciata rappresentata da due ex-piloti di grande fama che viene ben remunerata. Sono degli Yes Man. Non posso credere che non ci siano mai stati episodi da segnalare: ad indianapolsi l’asfalto non è buono, le gomme provocano infortuni a ripetizione, ma va tutto bene.

Già le gomme, come valuti la scelta del monogomma?  

Bridgestone sta risparmiando un sacco di soldi con questa scelta, se non hai concorrenti difficilmente ti metti a investire sul prodotto. Almeno facessero delle gomme sufficienti, invece tirano fuori una gomma che non si scalda e fa cadere tutti,  non hanno l'intermedia se non piove molto. Il parco attori è misero, sono pochi, se poi gli danno questo materiale e si fanno male, e di conseguenza non corrono, che spettacolo vediamo con 8 piloti in pista? Quanto costa una caduta dovuta alle gomme? Il materiale che si rompe carene, selle, serbatoi, telai distorti valgono quanto la Bridgestone ha risparmiato in una gomma? La scelta del monogomma è infame perché stanno portando del materiale di bassissimo livello, iniziando dalla caduta di Valentino al Mugello. Come può un pilota dopo che ha avuto gomme con le termocoperte fino all’ultimo secondo, fare tre giri rallentare per vedere se sopraggiunge qualcuno, poi ridare gas e volar via come sul ghiaccio? Ma dai!

 E come giudichi la stampa Italiana che ha etichettato le “accuse” di Stoner” ad un semplice “sputa nel piatto in cui mangia” anziché prenderle come spunto di riflessione e autocritica ? 

Stoner è un grande. Un grande uomo perché ha delle idee e le porta avanti. E’ andato via dalla Ducati  perché hanno fatto un’offerta di 8 milioni a Lorenzo quando a lui ne davano 1 e mezzo. Lui che ha vinto un mondiale guidando sopra ai problemi, problemi che spesso lo facevano andare in terra, si è sentito tradito e se ne è andato. Stessa coerenza usata anche con la Honda, in cui gli hanno imposto di correre a Motegi, nonostante la sua volontà di non andare e come dire… se l’è legata al dito ed ha abbandonato anche l'ala dorata. Lui è uno che ha le palle. Ha detto che le CRT fanno cagare ed è vero, ha detto che Ezpeleta non capisce nulla ed è vero. Tutto quello che ha detto è vero ma nessuno ha il coraggio di sottoscriverlo. Si è rotto le palle ed ha mandato tutti a quel paese.

Stoner fa ancora battere il cuore a molti Ducatisti, in questi due anni la Ducati ha sfornato più materiale in tutta la sua storia, ci ricordiamo cosa dicevano di Melandri sulla rossa e non osiamo immaginare i commenti se i risultati raggiunti da Rossi li avesse ottenuti Biaggi. Quanta sudditanza c'è verso un personaggio mediatico assoluto quale è Valentino ?

Fino a poche gare fa prendeva paga da Barbera e la stampa come si rapportava nei suoi confronti? Basta l’episodio del mugello  - e i video di Gpone ne sono testimoni - quando si è presentato alla conferenza stampa ed ha esordito con: “Barbera non era dietro di me stavolta ? Non l’ho visto” . Lì c’erano 50 giornalisti accreditati e tutti hanno riso, nessuno ha avuto il coraggio di rispondergli “Si lo hai battuto ma Barbera non ha il tuo stesso materiale. 9 titoli mondiali e te  la prendi con Barbera quando li hai tutti davanti?”. La sudditanza è totale anche perché Ezpeleta ha detto che il 50% della motogp è Valentino Rossi. Pertanto difficilmente possono andare contro o criticare il 50% della loro fonte di reddito. In Dorna ci sono dei grandi businessman ma ben lontani da essere  appassionati e competenti: cosa succederà quando Rossi smetterà di correre?

E il ruolo di Honda in tutto questo ?

Questo è l’altro scandalo. Honda ha monopolizzato il campionato e da le direttive ad Ezpeleta. Passarono dalle 2 tempi alla mille perché avevano la moto già pronta, dopo le mille passarono all’ottocento sempre con la bandiera del risparmio, quando è esattamente il contrario. Poi ripassano alle 1000… poi fanno la moto 2 e sono tutti motori Honda e le revisioni costano cifre pazzesche. E’ Honda che fa le regole, e come se nel campo di calcio cambiassero le misure della porta a seconda se nella tua squadra hai un portiera alto o basso. Le regole devono rimanere ferme altrimenti le case non investiranno su progetti che possono cambiare da un anno all'altro. La Federazione Internazionale nella figura di Vito Ippolito ha le mani legate da contratti fatti da chi l'ha preceduto e anche loro non possono mettere lingua. Hanno tolto i 2 tempi con la scusa dell’inquinamento e del risparmio, ma vanno all’1% di olio e francamente “non c’è niente che costi meno di una candela ed un pistone.” Il fatto è che le 2 tempi, non si vendono per strada, anche nella nautica sono ritornati ai due tempi perchè più leggeri e potenti.

Nella tua  vita tra i paddock e non solo hai conosciuto tante persone, chi ti ha trasmesso maggiori emozioni e perchè ? 

Nel paddock ho fatto solo 2 anni di mondiale e grandi contatti li ho avuti solo con i piloti. Le emozioni me le hanno date le amicizie disinteressate. Uno su tutti Tapio Virtanen un pilota Finlandese che correva con una MZ. Ricordo che sul circuito di  SPA  Francorchamps, in cui la mia 250 su quella pista velocissima  lunga 14 chilometri faceva 208 di media, avevo difficoltà a fare una curva. Tapio mi insegno come farla e mi stimolò tanto da finire terzo. Quando gli chiesi perchè mi avesse aiutato, io che ero un suo avversario e grazie ai suoi insegnamenti lo avevo anche sorpassato in classifica, lui mi abbraccio e mi disse: se non ci aiutiamo tra noi amici, e poi tu sei in lizza per il titolo, io no….

Con l’interrogativo se episodi di questo tipo si potrebbero ripresentare nelle corse odierne salutiamo Mario e lo ringraziamo per averci fatto tornare in un mondo che magari era meno tecnico e professionale rispetto a quello attuale, ma sicuramente era più semplice ed era possibile trovare quei valori e quella solidarietà che vanno a toccare le corde stesse del cuore umano e ci fanno provare emozioni sane e intense.

 

I migliori prodotti per bikers solo da

Le nostre interviste