EverGREEN, una verdona storica

 

Motoemozione, un nome che la dice lunga su quale sia il nostro spirito, parlare, discutere, ricordare tutto quello che ci ha emozionato, che si tratti di una moto, di un personaggio o di una pista.

Personalmente, i primi ricordi hanno inizio dalla metà degli anni 70, il primo, nitido e reale, parte da un rumore che oggi ci è quasi sconosciuto, quello di una moto due tempi.

Non era il classico suono che siamo stati abituati a sentire nelle nostre strade negli ultimi anni, quindi non il classico monocilindrico  2T 125 cc (anche detto scoreggina); era un rumore più acuto, che tutti noi abbiamo sentito sulle piste almeno una volta, era il rumore di un motore plurifrazionato, nello specifico un tre cilindri in linea fronte marcia da 500 cc, il rumore di un mito, la verde di Akashi, Kawasaki 500 Mach III.

La Kawasaki Mach III 500 H1 fu soprattutto una eccellente operazione di marketing: la filiale statunitense della casa giapponese aveva chiesto di produrre una motocicletta potentissima, leggera, con una grande propensione all'impennata e con il rumore di scarico che assomigliasse al sibilo di un jet. Sembra strano - e non è una 'leggenda metropolitana' - ma nacque proprio così quel mitico tricilindrico a due tempi che fece conoscere a tutto il mondo il marchio Kawasaki, ancora oggi sinonimo di mezzi di elevatissima potenza e raffinata tecnologia.

Questo incredibile mezzo arrivò sul mercato italiano agli inizi degli anni '70 ed ebbe un enorme successo, nonostante le evidenti carenze strutturali, a partire dall'esile forcella, passando per il cilindro centrale che soffriva di pericolosi surriscaldamenti durante le percorrenza da andature sostenute. C'erano però alcune particolarità che facevano emozionare gli appassionati, la ragguardevole potenza di circa 60 CV (non dimentichiamo che parliamo di un motore concepito oltre quarant'anni fa), che consentiva accelerazioni brucianti comparabili a pochi altri mezzi dell'epoca, la decisa tendenza a preservare la gomma anteriore perchè spesso orientata verso il cielo, la velocità massima di oltre 190 km/h, e poco importava se i freni erano adatti ad una moto con la metà della potenza.

Ovviamente una moto del genere fu subito eletta a miglior mezzo di trasporto per il centro traumatologico più vicino, ma anche questo poco importava, perchè anche all'epoca la scarica di adrenalina era quanto di più emozionante ci fosse.

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