YAMAHA XT 500.Una pietra miliare nella storia delle moto.

YAMAHA XT 500.Una pietra miliare nella storia delle moto.

Con l’ingresso dei costruttori giapponesi nel mercato delle motociclette, i termini come “classica” e “tradizionale” sembrano destinati a sparire dal vocabolario degli appassionati. I design futuristici e le soluzioni tecniche avanzate si sono susseguiti a un ritmo incredibile, evidenziando un’ascesa che ha lasciato l’industria europea apparentemente in difficoltà nel competere.

Con l’avvento dei produttori giapponesi, la divisione delle cilindrate è diventata una regola, soprattutto per i modelli di media e grande cilindrata. Così, quando la Yamaha ha presentato la XT 500 a quattro tempi monocilindrica, il modello ha suscitato più curiosità che interesse reale. Proprio quando sembrava che i grandi motori monocilindrici, che avevano reso celebri le scuole motociclistiche italiana e inglese, fossero stati dimenticati, Yamaha ha cambiato le carte in tavola. Inoltre, l’azienda ha introdotto un motore a quattro tempi su una moto da fuoristrada, proprio quando sembrava che questo tipo di motore avesse perso la sua rilevanza nel settore.

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Sebbene la XT 500 fosse un modello completamente nuovo, essa si inseriva in una categoria già rappresentata da numerosi esempi precedenti, partendo dai modelli inglesi fino ad arrivare alla Ducati Scrambler. Tutte queste moto, come la XT, erano state progettate principalmente per soddisfare le esigenze del mercato americano. A differenza dei vari modelli britannici, tuttavia, la Yamaha, come già aveva fatto la Ducati nel decennio precedente, non si è limitata a sostituire il manubrio con uno più alto e largo o a installare un tubo di scarico rialzato per dare un’impressione fuoristradistica a un modello inizialmente stradale. Negli Stati Uniti, cavalcando l’onda del successo delle competizioni fuoristradistiche di lunga durata come la Baja 1000, il mercato ha accolto favorevolmente i modelli che esteticamente riprendevano le forme delle moto utilizzate in queste gare. Tuttavia, Yamaha ha fatto un passo avanti, offrendo una moto destinata sia al fuoristrada sia all’uso turistico.

In un momento in cui il mercato del fuoristrada era dominato dai motori a due tempi, la scelta della Yamaha di un motore a quattro tempi ha destato sorpresa, soprattutto in Europa e particolarmente in Italia. Questa è stata una decisione tecnica influenzata principalmente dalle esigenze del mercato americano, che richiedeva moto con emissioni molto più basse rispetto ai motori a due tempi. Inoltre, le competizioni fuoristradistiche americane richiedevano moto capaci di mantenere alte velocità medie su lunghe distanze, un compito difficile per i motori a due tempi a causa dei consumi elevati.

Dopo la presentazione al Salone di Milano, le vendite della XT 500 in Italia iniziarono nel febbraio del 1976. L’accoglienza fu inizialmente tiepida, poiché la moto era stata presentata come “destinata al mercato americano”, perciò sembrava più adatta a soddisfare esigenze diverse rispetto a quelle dei motociclisti italiani. Inoltre, la moto non aveva ancora una chiara identità funzionale e rischiava di non soddisfare né chi cercava una moto stradale né chi ne desiderava una da fuoristrada. Prima della XT, le varie enduro stradali erano essenzialmente ibridi motociclistici. Questa volta, tuttavia, la situazione era diversa. L’aspetto tipicamente fuoristradistico della XT, con la forcella a lunga escursione (195 mm) e gli ammortizzatori posteriori molto inclinati, svelava il grande compromesso raggiunto. La XT si dimostrò subito versatile, indipendentemente dall’uso, e non influenzata dal solo aspetto estetico.

L’imponenza del suo motore, che riempie ogni spazio della struttura, richiama le monocilindriche italiane e inglesi degli anni ’50, ma le soluzioni tecniche impiegate dimostrano che si tratta di un’unità completamente nuova. Per contenere il peso, il carter e i relativi coperchi sono realizzati in magnesio, mentre la lubrificazione è a carter secco per ridurre l’ingombro del motore, con i 2200 grammi di olio contenuti nei tubi del telaio. La distribuzione è a due valvole comandate da un asse a camme in testa, azionato da una catena collegata a un ingranaggio a denti inclinati sul lato destro dell’albero motore. L’albero a camme ruota su cuscinetti a sfere e la catena è dotata di un tenditore automatico in materiale sintetico. Le dimensioni interne sono di 87 x 84 mm, per una cilindrata di 499 cm³. Con un rapporto di compressione di 9:1, il motore eroga 27,6 CV a 5500 giri/minuto, sebbene le curve di potenza fornite dalla Yamaha indichino oltre 30 CV a più di 6000 giri/minuto. Con una coppia di 3,64 kgm, il motore assicura elasticità e una buona spinta ai bassi regimi, ideale per muoversi in tutte le situazioni, dal terreno difficile al traffico cittadino. Il carburatore Mikuni VM 34 SS funziona senza intoppi, anche quando si accelera bruscamente. La lubrificazione è garantita da una pompa a doppio trocoide, situata sul lato destro del carter, dove si trova anche il filtro dell’olio, costituito da una cartuccia trattenuta da un coperchietto. Inoltre, il circuito di lubrificazione è dotato di un secondo filtro a reticella, bloccato dal tappo di drenaggio nella piccola coppa avvitata sul fondo del carter.

 

La ricerca delle prestazioni non compromette l’affidabilità, garantita da componenti sovradimensionati come la frizione multidisco in bagno d’olio e il cambio a 5 marce. I rapporti sono piuttosto lunghi, consentendo di raggiungere progressivamente le velocità massime in ciascuna delle 5 marce, sottolineando la vocazione turistica della moto, che si riflette anche nel design pensato per il passeggero. Questo è uno dei punti di forza commerciale della XT. Le vecchie monocilindriche verticali erano famose per le vibrazioni che affaticavano i motociclisti e le perdite d’olio. Con la Yamaha, tutto cambia. Le vibrazioni si avvertono solo intorno ai 5000 giri/minuto, per il resto sono quasi inesistenti, così come le perdite d’olio. Il progetto innovativo si riflette anche nel basso rumore meccanico e nell’efficace silenziamento del sistema di scarico, composto da una marmitta voluminosa. Sebbene i due silenziatori possano apparire eccessivamente massicci esteticamente, sotto il profilo funzionale sono ineccepibili. L’impianto di scarico è progettato in modo da non interferire con la guida o con la posizione del passeggero, e offre una protezione eccellente contro gli urti. La marmitta segue la linea del telaio, passando sotto il carter per poi risalire in un terminale removibile che varia in base al mercato di destinazione, ed è dotata di un tappo per scaricare eventuali condense o depositi.

Il rispetto delle tradizioni si manifesta nell’avviamento a pedale, possibile anche con una marcia inserita, e nell’accensione a magnete. In una moto che ha conquistato un crescente numero di appassionati, l’avviamento è inizialmente visto come un punto debole, anche se spesso è l’inesperienza del pilota, piuttosto che la riluttanza del motore, a causare problemi. Per avviare il motore senza difficoltà e senza contraccolpi dolorosi, basta seguire una procedura semplice e utilizzare il decompressore della moto. Bisogna azionare la leva dell’avviamento fino a sentire il punto di massima compressione del motore, quando il pistone raggiunge il punto morto superiore. A questo punto, si tira la leva del decompressore e si continua a premere sulla leva dell’avviamento, superando il punto di massima compressione. Rilasciato il decompressore, si porta la leva dell’avviamento nella posizione di riposo e si dà una decisa pedalata per avviare il motore. Per facilitare l’operazione, la Yamaha ha previsto un indicatore trasparente sulla testa del motore, che permette di verificare la posizione del pistone in relazione alle camme. Tuttavia, col tempo, l’indicatore tende a diventare opaco a causa dei depositi di olio, rendendo necessaria una verifica “al tatto”.

La moto è progettata per offrire prestazioni ottimali in ogni situazione grazie alle caratteristiche del telaio e della ciclistica. L’esperienza accumulata dai tecnici giapponesi in anni di competizioni ufficiali di motocross è evidente, ma, nonostante ciò, non è stata scelta la sospensione posteriore “Monocross”, distintiva delle moto Yamaha da fuoristrada. A partire dal 1976, questa sospensione è utilizzata sulle serie IT da regolarità a due tempi. Tuttavia, per la XT è stata preferita una configurazione più tradizionale con forcellone e due ammortizzatori a gas, subito riconosciuti dagli appassionati. Questi ammortizzatori, realizzati su licenza De Carbon, hanno una parte idraulica affidata a monotubo compensati con azoto e una parte elastica con molle a passo variabile. Gli steli della forcella sporgono superiormente di 35 mm dalla piastra, consentendo di variare la luce da terra della culla, anche se ciò altera l’avancorsa.

Le ruote rispettano la tradizione con cerchi in lega leggera, dotati di pneumatici da 21″ all’anteriore e da 18″ al posteriore. I raggi sono maggiorati vicino ai mozzi. Entrambi i freni sono a tamburo laterale, con il materiale d’attrito che agisce direttamente sul mozzo anziché su un riporto in ghisa.

La versatilità della moto si riflette nella strumentazione, paragonabile a quella delle migliori unità stradali dell’epoca, pur trattandosi di una enduro. Il tachimetro include il contachilometri totale e parziale e il contagiri. Il faro e gli indicatori di direzione, che in Italia erano ancora vietati, sono montati su supporti elastici. Per la prima volta, i motociclisti avevano a disposizione una moto che, pur non eccellendo in nessuna specialità specifica, non deludeva in nessuna di esse. Aggiungendo il clamore suscitato dalle prime competizioni in Africa, non sorprende che la Yamaha XT abbia rappresentato una pietra miliare nella storia delle moto.

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