SC-Project. Il nostro incontro.

Mentre attraversi il corridoio, posto al primo piano, che dalla sala riunioni porta a una finestra che si affaccia sul nuovo capannone, non puoi non fermarti davanti a un'altra finestra interna che dà sulla fabbrica e restare ammirato. Le postazioni di lavoro accuratamente separate, il personale assorto nelle operazioni che deve svolgere, le moto sui banchi prova. “Quando poi ricevi una mail direttamente da HRC in cui ti fanno i complimenti per l'azienda, sono soddisfazioni”.

Sì perchè l'alta dirigenza del colosso giapponese prima di dare l'approvazione per essere fornitori ufficiali del team HRC per gli scarichi delle loro moto, è rimasta un giorno a chiedere, valutare e analizzare l'operato e il metodo di lavoro della SC-Project, l'azienda produttrice di scarichi racing e stradali che oggi abbiamo il piacere di visitare.
Abbiamo passato un pomeriggio con i due proprietari che ci hanno accolto e raccontato la loro incredibile e affascinante storia. Quella che sui manuali di economia aziendale sarebbe descritta come il “business case della SC-Project”. A parte i numeri e i risultati raggiunti sono, come spesso succede in questi casi, le sensazioni e i dettagli che esulano dalle professionalità o dai titoli mondiali raggiunti a restare impressi. E' stato infatti il modo di come si sono posti i proprietari di questa realtà che sempre più si sta affermando nel mondo motociclistico a darci il polso di cosa c'è dietro una storia di successo. Due ragazzi, Stefano Lavazza e Marco de Rossi, di neanche 40 anni, amici di infanzia che si conoscono dai tempi delle scuole elementari, che in poco più di un decennio hanno realizzato una azienda leader nel loro settore, prodotti di primissimo livello ma soprattutto hanno creato un marchio conosciuto in tutto il mondo e oggetto anche di contraffazione, come scopriremo poi durante la nostra chiacchierata.

I loro scarichi hanno vinto per due anni consecutivi il mondiale Moto2 e da quest'anno sono in lizza per vincere in tutte le categorie, soprattutto nella classe regina con la Honda guidata dal più grande talento della storia del motociclismo recente. L'anno scorso hanno rilevato e salvato il marchio Paton e su di esso hanno predisposto un piano di sviluppo e crescita che vede la partecipazione in veste ufficiale a TT di quest'anno e la presenza al mondiale Moto2 a partire dal 2019. Eppure, a dispetto di questi risultati che potrebbero farli salire in cattedra e parlare sulla base di quanto conquistato, non se la tirano per niente. Tra produzione da controllare, dealer da seguire, l'area commerciali da coordinare, la parte racing da sviluppare, gli aspetti di cui hanno le responsabilità i due proprietari sono molteplici, considerando che hanno il controllo totale su tutta la realtà e gli aspetti decisionali delegati a altri sono minimi, è logico immaginarseli con l'occhio al cellulare, il pollice pronto a digitare una risposta a una mail o assentarsi per rispondere a chiamate. Eppure, durante la nostra presenza sebbene siano arrivate alcune telefonate da reparti interni, ci hanno dedicato il loro tempo senza interrompersi, dimostrando una forma di educazione e rispetto quasi conflittuali con l'era in cui viviamo che impone una doppia esistenza, quella reale e quella canalizzata dalle nuove tecnologie, due realtà parallele che si affiancano e vivono in simbiosi con il rischio sempre presente che una possa fagocitare l'altra, col reale rischio di eclissare l'interlocutore di turno.
Un'educazione e rispetto ormai difficili da trovare e non sappiamo se anche in questo particolare, che poi è lo specchio di come si ponderino e gestiscano i diversi stimoli cui siamo sottoposti, si possa individuare una componente del loro successo.
E' indubbio che da inizi 2000 quando Stefano e Marco si sono messi intorno a un tavolo e da veri appassionati delle due ruote hanno detto “realizziamo un nostro prodotto” di strada ne hanno fatta parecchia.
“Le moto ci sono sempre piaciute, sono la nostra passione e volevamo lavorare in questo settore. La prima cosa che cambi di una moto è lo scarico, così abbiamo individuato quella moto che in quel momento storico aveva maggiori vendite tra i ventenni, perchè poi sono loro quelli che fanno queste modifiche aftermarket, e abbiamo sviluppato dei silenziatori e degli scarichi specifici e poi da lì è partito tutto”. Detta così sembra facile, eppure hanno stravolto un settore piuttosto statico che si muoveva su dettami inconciliabili con l'ondata internet che ha investito l'economia globale di inizio secolo. Rivedendo alcune paradigmi produttore-dealer e sfruttando il sito web hanno iniziato a prendere quote di mercato italiano ma soprattutto estero creando un brand. “L'aspetto racing dà tanta visibilità, vincere mondiali in Moto2 e essere in griglia su tante moto fa associare il nostro prodotto a alte prestazioni. Oggi siamo presenti in tutto il mondo e l'Italia rappresenta solo una piccola fetta del nostro fatturato”.

Tuttavia le difficoltà non sono poche, da un lato la contraffazione dei paesi del sud-est asiatico, un importante mercato in cui però non esistono tutele e a fronte di contraffazioni grossolane e quasi pacchiane si affiancano prodotti con una cura che li fa rendere molto simile al prodotto realizzato totalmente made in Italy.

Dall'altro un sistema dopato, quello dei finanziamenti europei, che non permette una sana concorrenza. Chi scrive è un antieuropeista convinto e tra le tante assurdità di come è concepita l'Europa attuale oltre alla privazione della libertà di individui e imprese imponendo, come in agricoltura, quanto produrre, c'è una alterazione della libera concorrenza fra aziende della stessa comunità e operanti nello stesso settore. Dare contributi europei, magari a fondo perso, semplicemente perché alcune imprese, operanti nello stesso settore, hanno sede in paesi che, secondo le lungimiranti regole europee, devono avere sostegni e contributi, è una pura alterazione di un sistema, e in alcuni casi non è improprio usare il termine concorrenza sleale.
Per essere allo stesso livello, o per lo meno per ridurre questo gap, voluto da quella che dovrebbe essere una unione tra stati e invece crea disuguaglianze dettate da motivazioni anacronistiche per un mondo digitalizzato come quello attuale, sarebbe molto più semplice per una impresa delocalizzare la produzione oppure trasferirsi in nazioni dove la fiscalità e soprattutto il costo del lavoro non è come quello italiano.
“Abbiamo avuto diverse proposte in questi anni, persino di trasferire la sede dove ci garantivano per 5 anni una tassazione zero. Ma noi siamo italiani, le nostre professionalità e competenze sono radicate sul territorio. Siamo partiti con un grosso gap anche rispetto ai nostri competitor nazionali, che oramai abbiamo raggiunto e superato, mentre sul piano mondiale noi continuiamo con le nostre forze e siamo sempre in griglia pronti a battagliare”. Ci dicono Stefano e Marco.


Vedere come si alternano durante le risposte o nel racconto della loro storia, mantenendo sempre lo stesso filo conduttore ma anche la stessa intonazione di voce, la stessa impostazione, fa rendere conto della sintonia che i due soci hanno acquisito nel corso degli anni. Spesso in realtà con due soci uno cura l'aspetto tecnico e produttivo o amministrativo mentre l'altro quello commerciale e le due diverse visioni possono far nascere conflitti che nel medio periodo potrebbero pregiudicare il proseguo dell'attività. Nel caso SC-Project sembra di essere davanti a una unica persona divisa in due. Quelle figure che si leggono nei libri di economia, l'imprenditore che ha creato una impresa tutto da solo, con l'impostazione tipica italiana dell'azienda padronale. Ma qui quella figura si è scissa in due e si posiziona in un mercato globalizzato completamente nuovo e con regole inattuabili per quella figura storica.

Quando si leggono le biografie dei grandi imprenditori, tanti elementi simili si possono estrapolare, tra questi sicuramente c'è la solitudine. Essere davanti allo specchio e avere il peso unico e solo della decisione, un peso che a volte diventa davvero pesante da portare.
Forse il fatto di non avere i ruoli così ben definiti, l'essere intercambiabili e il dover prendere le decisioni insieme, con uno scambio di idee continuo in quella che è la gestione di una realtà complessa che opera su tanti fronti, è uno degli ingredienti del successo di questa realtà. Perché il clima che si respira in SC-Project è di frizzante euforia, dinamica energia e tanti, tanti
progetti in essere.
“Abbiamo un sacco di idee ma poi ci vuole il tempo per seguirle. Per il 2017 abbiamo il capannone nuovo da ultimare” una grossa proprietà totalmente alimentata con pannelli solari “i nuovi prodotti da lanciare e i nuovi scarichi da fornire ai team che ci hanno dato fiducia, e poi tutto il progetto Paton, dal TT fino alla Moto2”.
Perchè oltre alla fornitura ufficiale ed esclusiva per MV Agusta ed il suo Reparto Corse, accordo rinnovato anche per il 2017, SC-Project quest'anno è anche title sponsor del Team Pedercini Racing che corre nel mondiale Superbike e, come se non bastasse, a fine 2016 hanno salvato il marchio storico Paton, e solo per questo andrebbe loro detto grazie da parte di tutto il mondo delle due ruote manifestando loro una grossa riconoscenza. Se non si fossero mossi in prima persona il destino di un marchio che ha fatto la storia del motociclismo mondiale sarebbe andato perso per sempre o peggio in mano a qualche gruppo che nulla sa di moto o di qualche fondo azionario che ne avrebbe stravolto la sua essenza.

“Con Paton collaboravamo per la fornitura di scarichi, abbiamo visto la possibilità di rilevare il marchio e lo abbiamo fatto. Un'acquisizione non solo a salvaguardia del marchio ma con un programma di sviluppo a cui stiamo già lavorando con grossi investimenti. L'obiettivo è di portare la moto dove merita. L'anno scorso ha fatto un bel piazzamento al TT, stiamo lavorando per migliorarla così da puntare almeno al podio. All'edizione del TT di quest'anno saremo presenti con il nostro team ufficiale. Paton non deve restare però limitata al TT, Paton fa parte della storia del motomondiale e lì deve tornare. Il nostro programma è partecipare alla Moto2 a partire dal 2019”. Della serie... non c'è abbastanza carne al fuoco. Più volte durante la nostra chiacchierata ci chiediamo, ogni volta che mi espongono i risultati raggiunti, il motivo del loro successo, e forse a chiudere il cerchio del Business case SC-Project è quello che dice Stefano “noi abbiamo ancora fame. Vogliamo vincere altri mondiali”.

Forse è questo che permette di sostenere ritmi che molti loro coetanei e non solo non riuscirebbero a gestire, la settimana in azienda a curare la produzione, il sabato e domenica nei circuiti, impegnati in riunioni con i Team Manager per definire strategie, contratti e nuovi accordi per poi, senza nessuno stacco rientrare il lunedì a gestire l'operatività aziendale, magari con in mezzo trasferte intercontinentali e i dealer internazionali da gestire.
Durante tutta la nostra chiacchierata il concetto sempre presente e la risposta alla nostra consueta domanda “che emozioni vorreste vivere?” abbiano risposto “ vogliamo vincere altri mondiali, i nostri scarichi devono vincere altri mondiali”.
In Moto2 ci sono riusciti per diverse volte e quest'anno sono il lizza in tutti i campionati.
Dalla MotoGP fino alla Supersport passando per la Moto3 arrivando fino al TT.
Occupazione, prodotti totalmente made in Italy copiati e invidiati, brand riconosciuto e desiderato, professionalità e innovazione, presenza nelle competizioni ai massimlii velli, forse tanti altri mondiali sono già stati vinti da parte della SC-Project.
Noi non possiamo fare gli auguri per un 2017 ricco di successi Marco e Stefano, a tutti i loro dipendenti e i piloti che usano i loro scarichi di vincere tutti i mondiali che meritano.

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